Partitura manoscritta; I-Nc, Rari: 33.6, 8 – Cd n°: 3807, 3808.
Datazione e tipologia
Il dramma per musica Zenobia e Radamisto è l’ultimo musicato da G. Legrenzi a Ferrara, dopo il Nino il Giusto con cui debutta come operista nel 1662 su libretto di ignoto1 e l’Achille in Sciro del 1663 su libretto di Ippolito Bentivoglio, ed è anche la sua unica opera ferrarese di cui sia rimasta la partitura musicale2.
Il libretto così come è stato edito a stampa in Ferrara da Giulio Bolzoni Giglio e Giuseppe Formentini nel 16653 genera l’impressione che ci si trovi davanti ad un’opera ibrida, a metà cioè tra l’opera cortigiana e l’opera mercenaria.
Di cortigiano c’è la dedica in forte rilievo in copertina agli Illustrissimi Signori Sposi Nicolò Santini e Maria Luisa Buonvisi, l’indirizzo rivolto da Legrenzi a pagina 1 ai dedicatari con esplicito cenno al Cardinale Buonvisi, zio della sposa e generoso protettore del musicista, nonché l’aggiunta del finale, esplicitamente celebrativo della casata, con i personaggi allegorici di Fama, Desiderio e Genio.
Al contrario il passaggio iniziale della dedica Legrenziana in cui il musicista accenna alla gentilezza del conte Pinamonte Bonacossi, impresario del teatro S. Stefano, che col donare al suo arbitrio la publicazione (sic) del dramma ha voluto aprire tra le regie sventure di Zenobia e Radamisto fa pensare, se la nostra interpretazione è corretta, a un lavoro commissionato dal conte per la normale stagione del carnevale, di cui è stato concesso l’uso, e l’adattamento, per l’occasione di festeggiamenti nuziali di notevole eco nell’establishment ferrarese.
La prassi non sarebbe peregrina: Ivano Cavallini4 cita il suggerimento di Ziani a Cristoforo Ivanovich, librettista della Circe, di aggiungere nel fine qualche personaggio di fantasia in funzione allegorica, che renda l’opera presentabile a Vienna in occasione delle celebrazioni per il compleanno dell’Imperatore Leopoldo.
Il librettista
Autore del libretto di Zenobia e Radamisto è Ippolito Bentivoglio5, figlio di Cornelio, che chiamò G. Legrenzi a Ferrara come maestro di cappella dell’Accademia dello Spirito Santo, fondata dalla sua famiglia nel 1597 con interessi prevalentemente musicali, e di Costanza Sforza di Santa Fiora, nonché marito di Lucrezia sorella del cardinale Carlo Pio di Savoia.
Alla metà del ’600 un po’ in tutta Italia gli antichi lignaggi sono in incipiente declino di mezzi e di potere e sono ormai insufficienti a una gestione alta delle arti come invece era tradizione delle grandi famiglie rinascimentali in genere e degli Estensi in particolare, ormai addirittura estinti sin dal 1598.
Ora si punta, o meglio non resta, che l’effimero della rappresentazione teatrale, del dramma per musica in particolare, che incontra le simpatie e i gusti del pubblico se si è capaci di servirlo e di scendere a patti con lui perché si misura il merito della composizione con [il] compasso […] dell’interesse6.
Alcuni esponenti della nobiltà, tra cui per primi i Grimani e i Vendramin a Venezia, i Bonacossi e gli Obizzi a Ferrara imboccano tout court, senza troppe incertezze, la via dell’imprenditoria, gestendo teatri di proprietà, scritturando librettisti, musicisti e cantanti, altri, come Ippolito Bentivoglio, continuano un po’ pateticamente, a ispirarsi al vecchio modello del cavaliere che sa maneggiare ugualmente bene la spada e la penna, per inclinazione7 e non per professione, grandi dilettanti in entrambi i campi.
Ippolito Bentivoglio infatti combatte come capitano di fanteria nella Guerra di Fiandra nelle file del reggimento di Mazarino e una volta tornato a Ferrara si dedica, tra un impegno pubblico e l’altro8, alla stesura di libretti d’opera.
Nelle pagine introduttive9 del libretto di Zenobia e Radamisto indirizza una nota non firmata Al Cortese Lettore.
L’esordio della nota è degno di attenzione perché l’autore afferma che si tratta della seconda volta che il fruitore dello spettacolo è forzato a sentire le sue debolezze.
Poiché le fonti10 sono concordi nell’attribuire al Bentivoglio almeno due libretti11 senz’altro anteriori a Zenobia e Radamisto e precisamente la Filli in Tracia, musicato nel 1655 da Andrea Mattioli, maestro di Cappella dell’Accademia dello Spirito Santo e l’Achille in Sciro, musicato nel 1663 da G: Legrenzi, si deve concludere che egli stia facendo riferimento unicamente a quello dei suoi lavori già presentato in Ferrara e quindi sicuramente al solo Achille in Sciro.
Non è infatti ipotesi fantasiosa che la Filli in Tracia, scritta per l’Accademia bolognese dei Gelati, cui il Bentivoglio apparteneva col soprannome di Immobile12, non sia mai approdata, almeno fino al 1665, nei teatri ferraresi.
Di un’edizione veneziana della Filli abbiamo notizia da una lettera del 1664 di Luigi Pio di Savoia inviata da Venezia a Ippolito13 in cui si complimenta sia per la Filli in Tracia sia per l’Achille in Sciro e per quanto i suoi gusti preferiscano l’Achille per maggiore dolcezza di metro e candidezza della frase riconosce in entrambi i libretti erudizione non affettata e sentenze maestose.
Di passaggio segnaliamo che l’edizione veneziana dell’Achille in Sciro del 1664 non dovette essere particolarmente fortunata (per il libretto, non per la musica) se un’altra lettera14 da Venezia a Ippolito con mittente indecifrabile si premura di consolare l’autore del testo poetico per gli irriguardosi fischi degli ignoranti, garantendogli una stima crescente presso gli intenditori.
Le fonti storiche di Zenobia e Radamisto
La fonte è Tacito: Annales XII, 50-51 che reca l’episodio, argomento dell’opera, all’interno della convulsa storia delle regioni orientali dell’Impero nel I sec. d. C.
Tiridate, fratello del re dei Parti Vologese, viene inviato dai Romani contro Radamisto, figlio del re di Iberia (l’odierna Cecenia) Farasmane e marito della cugina Zenobia, che si è impadronito dell’Armenia. Tiridate, vittorioso, conquista la capitale Artaxata.
La trama dell’opera
Antefatto:
Tiridate assiro, inviato dai Romani contro Radamisto di Iberia che si è impadronito dell’Armenia, ne conquista la capitale Artaxata.
Quando Tiridate è ormai padrone di Artaxata, Radamisto fugge con la moglie Zenobia, incinta, che, giunta stremata sulle rive dell’Arasse, chiede al marito di ucciderla per non cadere viva nelle mani del nemico. Radamisto, sconvolto, la colpisce e la getta nel fiume, credendola morta. Zenobia perde il figlio ma non muore ed è raccolta e curata dal pastore Alceste.
Tiridate, giunto a sua volta sulle rive del fiume, trova un medaglione col ritratto di Zenobia, se ne innamora, la fa ricercare e, trovatala, la chiede in moglie. Zenobia rifiuta ed è tenuta prigioniera.
Radamisto, in fuga, incontra in un bosco l’ombra del mago Armeno che gli suggerisce di cambiare aspetto grazie all’acqua miracolosa di una fonte e di recarsi così cambiato alla reggia col nome di Creonte. Se riuscirà a impadronirsi della spada di Tiridate tutte le sue sventure finiranno.
Al seguito di Tiridate c’è anche Doriclea, principessa dei Parti e sua promessa sposa, sotto le mentite spoglie del giovinetto Ismene, che, in preda alla gelosia per il tradimento del re, brama vendetta. Doriclea si rivela a Zenobia e insieme tramano l’uccisione del tiranno.
Creonte-Radamisto sventa l’agguato, si impadronisce della spada secondo il consiglio del mago e riprende le sue sembianze.
Tiridate, pentito, riconsegna Zenobia e l’Armenia a Radamisto e rinnova a Doriclea, che ha smesso i panni di Ismene, l’antica dichiarazione di amore.
Struttura
L’opera si articola in 3 Atti e 9 mutazioni di scena.
I personaggi del dramma sono 12: le coppie Radamisto-Zenobia e Tiridate-Doriclea; i buffi: Lico balbuziente, Turpino eunuco, Fidalba damigella di Doriclea; gli aiutanti: Egisto scudiero di Doriclea e amante di Fidalba, Casperio generale di Tiridate, Oreste capitano delle guardie.
L’ombra del mago Armeno e il pastore Alceste compaiono ciascuno in un’unica scena.
Il profilo drammatico del libretto concentra la massima tensione agli inizi:
- il I Atto (18 scene) segna la rottura degli equilibri operata dalla guerra e dall’amore: Venere e Marte si incaricano di cambiare i re e di mescolare le coppie;
- il II Atto (22 scene) espone gli affetti come emergono dall’incontro-scontro dei protagonisti. Unico personaggio in evoluzione è Casperio, che inizia un suo percorso di amante capace di spingersi fino alle soglie del proibito per poi rimanere marginale e irrisolto;
- il III Atto (16 scene) è rapido con un’ampia parte centrale riservata ai personaggi comico-popolari che cantano il trionfo dell’amore verso cui il dramma felicemente precipita.
Giovanni Legrenzi, nell’Indirizzo di Dedica dell’opera, sostiene che le sue note saranno rese più canore fra gli allori eruditi di chi al […] componimento è stato nobile genitore e che le sue applicazioni della […] mente e fatiche, appoggiate come sono alle misure di fuggitiva voce e facilmente nate fra sceniche apparizioni non si perderanno nell’oblio cui sarebbero destinate solo perché legate agli illustri nomi dei suoi protettori.
Ippolito Bentivoglio, nella Nota al Cortese Lettore, sostiene che l’uso teatrale incide sugli sviluppi della trama imponendo un’abbondante aggiunta di verisimile per meglio adattarsi alle sceniche rappresentazioni.
La musica però stravolge le forme del testo poetico perché obbliga ad abbandonare le regole dei Metri antichi e a seguire i precetti del capriccio che subordinano il testo alla partitura.
La nota chiude con un cenno secco e generico al soave dell’armonia legrenziana che emenderà i difetti della Musa.
Pur attraverso il linguaggio standardizzato e formalizzato dell’Indirizzo di Dedica e della Nota al Cortese Lettore, sia Legrenzi che Bentivoglio affrontano un nodo importante nella gestazione del dramma per musica.
Dal lato del librettista si denunciano i capricci della musica che sovvertono la regolarità del metro ma si riconosce poi che questi si risolvono in ‘soave’ armonia, dal lato del musicista c’è l’ossimorica attestazione di una applicazione ‘faticosa’ che però fa nascere ‘facili’ note per uno spettacolo tutto sommato transeunte.
Conclusione
Il profilo drammatico del libretto concentra la massima tensione agli inizi del lavoro, deputando il I Atto a collocare i protagonisti in una situazione caratterizzata dal rovesciamento delle parti: chi ha vinto in guerra è vinto da amore (Tiridate), chi era re è fuggiasco (Radamisto) e alla fine travestito e camuffato, chi era regina e moglie è prigioniera e insidiata (Zenobia), chi era principessa e fidanzata è negletta e sotto mentite spoglie (Ismene/Doriclea).
Il II Atto è volto sostanzialmente all’esposizione degli affetti come emergono dall’incontro/scontro dei protagonisti, in linea di massima abbastanza uniformi, senza possibilità di variazione.
Unica eccezione sembra essere il personaggio di Casperio, che inizia un suo percorso di amante capace di spingersi fino alle soglie del proibito per poi rimanere marginale e irrisolto.
Il III Atto è rapido con un’ampia parte centrale riservata all’intermezzo dei personaggi comico/popolari che cantano, a modo loro, il trionfo dell’amore verso cui il dramma felicemente precipita.
Notes:
- A. Morelli: Legrenzi e i suoi rapporti con Ippolito Bentivoglio e l’ambiente ferrarese. Nuovi documenti. In: Giovanni Legrenzi e la cappella ducale di San Marco – Atti dei Convegni internazionali di Studi (maggio-settembre 1990), Firenze, Olschki 1994, p. 51, propone di identificare il librettista ignoto con il nobile ferrarese Ercole Bonacossi, autore di una Semiramide sotto il cui titolo potrebbe celarsi il Nino. ↩
- L. Bianconi, Funktionen des Opernteathers in Neapel bis 1700 und die Rolle Alessandro Scarlatti: in Colloquium Alessandro Scarlatti, Würtzburg 1975 a cura di W. Osthoff e J. Ruile Dronke, Tutzing, Haus Schneider 1979, p. 443. ↩
- Biblioteca Nazionale Braidense-Milano in «Raccolta Drammatica Corniani Algarotti», p. 532. ↩
- I. Cavallini: Stile e struttura del melodramma nelle lettere di Cristoforo Ivanovich, in Atti etc. op. cit., p. 185 e sg. ↩
- The new Grove Dictionary of music and musicians, London Macmillan 1980 s.v. ↩
- I. Cavallini op. cit., p. 192. ↩
- Libretto di Zenobia e Radamisto, p. 2 nota di Ippolito Bentivoglio: «Al Cortese Lettore». ↩
- A. Morelli op. cit. p. 50. ↩
- P. 2-4. ↩
- Vedi, Zani: Memorie, imprese e ritratti dei Signori Accademici dei Gelati di Bologna, Bologna, Manomessi, 1673, p. 284 e sg. A. Libanori: Ferrara d’oro imbrunito, Ferrara, Stampa Camerale, 1674, p. III, p. 184 e sg. ↩
- Libanori op. cit. gli attribuisce anche un terzo libretto: Annibale in Capua, ma senza data. ↩
- Vedi, Zani: op. cit. ↩
- Lettera del 25-02-1664 in I-FEas, Bentivoglio, 338 c. 150 riportata da A. Morelli, op. cit., p. 53. ↩
- Lettera del 23-02-1665 ibidem b. 340, c. 125. ↩