Partitura autografa, microfilmatura su nostra richiesta; I-Nc, Rari: 1.4.1, 2.
L’opera va in scena al Teatro Valle di Roma il 28 dicembre 1779: la musica è di Domenico Cimarosa e il libretto (I-Nc, Rari: 10.10, 9) dell’abate Giuseppe Petrosellini. Per la ripresa napoletana, in scena al Teatro Nuovo nel 1794, Cimarosa aggiunge nella prima parte un quartetto e due arie.
Il libretto è una variazione sul tema della Locandiera goldoniana, riletta intrecciando alla linda razionalità di Mirandolina il tema dell’amore passione e dei suoi rischi.
La trama
Livia, sotto il falso nome di Enrichetta, vive da qualche tempo in una distinta locanda di Londra dove è arrivata sulle tracce di Milord Arespingh, che in Italia le ha giurato eterno amore e che poi l’ha improvvisamente abbandonata per un perentorio ordine paterno di cui Livia è all’oscuro.
Intanto si mantiene onestamente, gode della simpatia e dell’affetto di Madama la locandiera ed è corteggiata senza successo da due ospiti della locanda, il ricco mercante olandese Sumers e il buffo napoletano Don Polidoro.
Arespingh giunge inatteso alla locanda e riconosce Livia, che dapprima lo respinge sdegnata ma poi si lascia convincere dalla sincerità dei suoi accenti.
Non è ancora il lieto fine: Livia sta per essere arrestata e si scopre che il mandato di cattura è stato sollecitato dal padre di Livia, come mezzo estremo per riavere la figlia; chiariti tutti gli equivoci, seguono le nozze di Livia e Arespingh e quelle di Madama la locandiera con Polidoro, fin dall’inizio vittima delle sue burle.
Per quanto Livia sia sola e fuggiasca, senza protezione, non scatta il tema della virtù insidiata: Sumers non ha mire ignobili e con puritana spigolosità manifesta la sua ammirazione per la donna che onestamente vive del suo lavoro. Polidoro è agli antipodi di Sumers, convinto com’è di far sempre breccia nel cuore delle belle donne, ma è solo uno sciocco inoffensivo.
Livia la ribelle è una piacevole novità, che spezza il cliché della donna rassegnata e dolente o astuta tessitrice di tresche alle spalle di padri un po’ babbei.